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28 marzo 2013


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Il nuovo che è avanzato.

Quindi, ricapitolando, l'idea che mi sono fatta suona un po' così:
- Bersani è la vecchia politica, non ha vinto, anche se toccherebbe a lui governare, per la legge dei grandi (mica tanto!) numeri. Bersani è vecchio, ed è talmente vecchio che ha capito che il suo tempo è quasi scaduto, che lui presto sparirà e che l'unica cosa che può fare, affinchè con lui non sparisca tutto il Pd, è lavorare per un vero cambiamento, di quelli che nemmeno ha mai sperato, di quelli per cui non si è mai realmente impegnato, che poi, a ben pensarci, se l'avesse fatto non saremo a questo punto e lui, forse, sì che avrebbe vinto.
- Berlusconi è vecchio e dirgli solo vecchio è fargli un complimento, ed è talmente vecchio che non guarda al futuro, ma al passato: "Se vinco farò lo stesso governo del 2011, ma con Terzi al posto di Frattini!" E noi che avevamo rivalutato Frattini! E' talmente vecchio, che l'unica cosa che gli importa è vivere al meglio i suoi ultimi anni e al diavolo se il suo meglio coincida con il nostro peggio!
- Grillo è il nuovo, ma è il nuovo in mezzo a questo vecchiume! 
Che poi a ben guardare usa lo stesso linguaggio della Lega di 20 anni fa, solo un tantino più aggressivo, solo un tantino più volgare, solo con qualche vaffanculo in più, ma io sta cosa l'ho già vista e se l'ho già vista allora non è proprio nuova.
Che poi a ben guardare il nuovo è nello streaming degli accordi con gli altri, ma non nello streming delle riunione interne, quelle con i capi per intenderci, perché fate gli streaming con chi dico io, ma non fateli quando ci sono io!
Che poi a ben guardare il nuovo è nel dire sempre no, solo no, nient'altro che no, lo giuro! E allora a ben guardare il cambiamento, più che cambiamento è immobilismo, è stare fermi, arroccati nelle proprie posizioni, ma io sta cosa l'ho già vista e se l'ho già vista allora non è proprio nuova.
Che poi a ben guardare il nuovo è nel dire: "Lasciate fare a noi, che se lasciate fare a noi, noi diciamo SI al cambiamento! e se non lasciate fare a noi, noi non vi facciamo lavorare per il vostro cambiamento!" Insomma il nuovo sta nel ricattare politicamente gli altri, ma io sta cosa l'ho già vista e se l'ho già vista allora non è proprio nuova. 
Che poi a ben guardare il nuovo è nel tornare al voto con una legge ellettorale vecchia, brutta, sbagliata di quelle che rendono il paese ingovernabile a meno che non si prenda il 51%, ma meglio sarebbe il 100%, che poi è quello che vorrebbe Grillo, ma il 100% in democrazia non esiste e allora se non è democrazia il nuovo sta nel potere totalitario, assoluto, senza gli altri, quelli vecchi che ormai sono circondati e morti, ma io sta cosa l'ho già vista (anzi per mia fortuna non l'ho proprio vista, ma ne ho sentito parlare) e se l'ho già vista (anzi per mia fortuna non l'ho proprio vista, ma ne ho sentito parlare) allora non è proprio nuova.

Che poi a ben guardare non è affatto un bel vedere.
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20 marzo 2013


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La Chiesa e i poveri (italiani)

Ma certo che mi piace il Papa Francesco!
Ma certo che l'entusiasmo ha colpito anche me, che mi dico laica.
Ma certo che ho apprezzato il gesto di non mettere un anello d'oro, di non indossare scarpe rosse, di non abbigliarsi con mantelle d'ermellino, di non rinchiudersi dietro vietri blindati di un auto che cammina in mezzo alla folla.
Ma certo che mi hanno colpito le sue parole sulla tenerezza, gli abbracci, i baci, le pacche sulla spalla, le corse verso i bambini, i disabili, i fedeli in prima fila.
Ma certo che sono stata felice di sapere che ha pagato il conto dell'albergo, anche se poi, a pensarci bene, quell'albergo adesso è suo.
Ma certo che fa ben sperare l'ultizzo dei mezzi pubblici e gli autobus collettivi di prelati.
Ma certo che mi fa simpatia quel suo accento argentino che mi ricorda più Maradona che Belen.
Ma certo che mi sembra un'ottima cosa che voglia essere più vicino ai poveri, anche perché, noi, poveri stiamo diventando, ma proprio tanto poveri, sempre più poveri. 
E allora il Papa, che è così vicino ai poveri, proprio da qui potrebbe cominciare. 
Potrebbe cominciare a dare una mano ai poveri a cui è più vicino: gli italiani!
Basterebbe, Sua Santità, abbandonare alcuni privilegi fastidiosi, che non sono l'anello, le scarpe, il mantello, ma qualcosa di reale e concreto, qualcosa che avvicini la Chiesa agli altri poveri, italiani: l'Imu!
Basterebbe dire: è giusto pagare, come quelli che hanno un'unica casa, come quelli che di case ne hanno due,come quelli che di case ne hanno anche più di due, come quelli che hanno un negozio, come quelli che hanno un albergo, come quelli che hanno un terreno agricolo. Come quelli che pagano, perché in Italia l'Imu si paga.
Forse la Chiesa sarebbe un po' più povera, ma quanto ci piacerebbe una chiesa povera per i poveri.
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8 marzo 2013


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Non si vive di mimose



Tu che fai, uomo, regali una mimosa alla tua donna?

Tu regali una mimosa alla tua compagna, salvo poi prenderla a sberle se quando torni a casa il colletto della camicia non è stirato a dovere?
Tu regali una mimosa alla tua collega, salvo poi vantarti del fatto che lavori meno di lei e guadagni più di lei perché sei uomo?
Tu regali una mimosa alla tua amica, salvo poi guardarle il culo quando questa, dopo che ti ha ringraziato, ti saluta e se ne va?
Tu regali una mimosa alla tua collaboratrice, precaria, e la festeggi alla notizia della sua prossima gravidanza, salvo poi firmare la sua lettera di licenziamento lasciandola a casa con la prole?
Tu regali una mimosa alla tua segretaria, salvo poi complimentarti con lei solo quando la sua scollatura è più generosa e la sua gonna e più corta?
Tu regali una mimosa alla tua fidanzata, salvo poi spaccarle la faccia se ti sembra che abbia guardato un altro?
Tu regali una mimosa alla madre di tuo figlio, salvo poi non aiutarla mai nella gestione della famiglia e della casa?
Tu regali una mimosa alla ragazza incontrata in discoteca l'altra sera, salvo poi infamarla se lei non ci sta e non te la dà?
Tu regali una mimosa alle tue dipendenti, salvo poi non rispondere mai alla loro richiesta di un asilo aziendale, che ti potresti permettere e che le aiuterebbe a lavorare meglio?
Tu regali una mimosa alla tua stagista, salvo poi sapere che non ci pensi nemmeno ad assumerla, che poi ha già quasi 30 e sai mai che alla fine sogna un marito e dei figli?
Tu regali una mimosa alla tua sottoposta, salvo poi annoiarla con quelle tue battutite pieni di doppi sensi e con quel tuo fare da maschilista retrogrado, che pensi di poterti permettere perché sei un maschilista retrogrado?
Tu regali una mimosa alle tue elettrici, salvo poi riempirti la bocca con i bei discorsi sui diritti delle donne, ma senza fare mai nulla di veramente concreto per cambiare le cose?
Tu regali una mimosa al tuo capo donna, salvo poi partecipare a tutte quelle voci che dicono che quel posto se l'è guadagnato andando a letto con chissà chi, perché, si sa, le donne solo così riescono ad ottenere dei posti di comando?
Tu regali una mimosa alla tua impiegata, salvo poi pensare che quella promozione, che lei si merita perché lavora sodo, non gliela darai mai perchè ha rifiutato le tue avances e tu pensi che una donna, per avere un posto di comando, deve per forza andare a letto con qualcuno?

Tu che fai, uomo, regali una mimosa alle donne che ti stanno accanto?
Ma se anche una sola volta ti sei comportato come in uno di questi esempi, facci un favore: lascia stare, non regalarci mimose.
Non è di mimose che abbiamo bisogno.
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5 marzo 2013


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Fuoco nemico

Sei punti di innesco, quattro a benzina, due di sostanze chimiche a Città della Scienza. 
Incendio doloso.

Voi ci siete mai stati alla Città della Scienza?
Io si, e sono sempre state giornate con il sole.
Ero all'Università, allora, c'erano mostre di disegnatori, fumetti, c'era fermento, c'era vita.
C'erano i bambini che imparavano la scienza. C'erano i loro genitori che imparavano la scienza. C'ero io che imparavo la scienza. 
Quel posto era magico, perché ti dava la possibilità di imparare, di capire piccole grandi cose che altrimenti non avremmo capito. Era come uscire da quello che si leggeva sui libri di scuola ed esserci in mezzo. Io lo so non perché l'ho letto, io lo so perché l'ho fatto. Ti sentivi grande e ti sentivi piccolo. Imparo questo, ma quante cose potrei imparare ancora?
L'approccio empirico era divertente.
Io credo che da qualche parte, alla Città della Scienza, qualcuno insegnava anche che il fuoco può nascere per caso, ma non sempre è così. Non ci vuole la Scienza.
Stamattina ardo anch'io, di rabbia. 
Quello era un posto nuovo, un posto altro. Un simbolo, una speranza? No, era qualcosa di meglio, era un posto vero, un posto vivo.
E' andato tutto in fumo. Sono bravi questi che non conoscono il significato di metafore a cancellare l'aspetto metaforico. Loro sono letterali. La Città della Scienza è andata in fumo per colpa del fuoco, quello fatto di alte fiamme, perchè lì il fuoco già c'era, ma era un fuoco diverso, era un fuoco amico, quello alimentato dal vento buono. 
Stanotte di vento non ce n'era, nessun tipo di vento, ma il fuoco si.
Adesso ci sono solo macerie. Solo macerie.
Oggi non si dovrebbe parlare d'altro. Oggi si dovrebbe parlare solo di queste macerie, perchè non sono solo le macerie di Napoli, dei napoletani. 
Oggi dovremmo essere tutti lì, tra quelle macerie per dire che appartengono a tutti e per dire che quelle macerie siamo noi.
Dovremmo essere talmente tanti che se davvero ci fosse il dolo, chi ha appiccato le fiamme dovrebbe avere paura, paura di tutti.
Dovremmo essere lì, a dire che questo fuoco riesce solo a ricordarci che possiamo essere Fenice. Dovremmo essere lì a dire: "Scusateci se abbiamo permesso che il vostro fuoco fosse più forte del nostro, ma grazie per averci ricordato che il nostro deve essere più forte del vostro." 

Sei punti di innesco, quattro a benzina, due di sostanze chimiche a Città della Scienza. 
Incendio doloso.

Se fosse davvero così, adesso tocca a noi ardere, mentre loro dovrebbero marcire in galera e poi bruciare all'inferno. Se non lo facessimo saremo condannati, esattamente come loro.
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1 marzo 2013


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Sogno di uno scrutatore

Riflessioni da un seggio.

L'idea di dover votare su pezzi di carta colorata e per farlo di dover tornare al proprio Comune di residenza e sfilare al cospetto di persone sedute ai banchetti delle scuole elementari mi infastidisce. Mi sembra un rito, di quelli che non si mettono in discussione, perchè si è sempre fatto così: nostalgia da tempi andati, insomma. Ogni giorno migliaia, milioni di transazioni monetarie passano sulla rete, in tutta sicurezza, e non ci facciamo il minimo scrupolo... perchè non farci passare anche un voto?

Ho un sogno: uno scrutinio universale, per davvero, un voto così facile che non farlo è solo una scelta, vera, dove votano tutti, ma proprio tutti, dovunque essi siano purchè siano legittimati a farlo. Il diritto è libertà e la libertà è poter scegliere.

Per combattere il tuo nemico devi conoscerlo, così, mi sono iscritto alle liste come scrutatore e puntuale, alla prima tornata, arriva la chiamata! Ho così l'opportunità di studiare la cosa dall'interno, finalmente un faccia a faccia, per scoprire come girano gli ingranaggi della macchina elettorale, partendo dalla ruota più piccola (io)... e le ruote girano, l'avresti mai detto?!? I meccanismi sono collaudati e oliati, tra le mura di una bella scuola elementare, tra le facce scocciate delle forze dell'ordine e quelle speranzose dei giovani in cerca di un ripescaggio, tutto fila.

Presidenti, segretari, scrutatori e bidelli, plichi, matite, schede e cassettoni, buste e verbali, non manca niente, anzi, qualcosa avanza pure. Le schede sono quasi 1000, moltiplicate per 3, e vanno tutte firmate e timbrate. Si corre veloci, tra sigle e timbrature, ma il motivo di tutto ciò mi sfugge: alcuni timbri sono così lievi e alcune sigle così incomprensibili che non vedo come dovrebbero autenticare il tutto.
I registri sono divisi tra uomini e donne, per cui le signore e i signori fanno file separate, vengono gestiti su banchi separati e ho scoperto poi che c'è sempre più fila al tavolo delle donne che a quello degli uomini, come al bagno degli autogrill.

A parte qualche fanatico votatore della prima ora, gli orari della messa la fanno da padrone: non l'avrei detto che siamo ancora un paese così cattolico, povero illuso. E' divertente poi vedere come i primi giovani arrivino non prima di metà pomeriggio... o forse è deprimente? Non l'ho capito, fatto sta che i giovani non solo se la dormono, ma non si vedono proprio all'orizzonte, tanto che, sul piccolo campione della sezione, la percentuale di under 25 che vota è sotto la percentuale dei votanti. Peccato, perchè da loro, in salute e volenterosi, uno si aspetterebbe legittimamente qualcosa di più. Davvero in pochi sanno che ci vogliono 25 anni per votare al Senato: ricordo che a me, a scuola, l'avevano insegnato. Quando gli dici "voti solo alla Camera" ti chiedono "perchè", domanda assurda seconda solo alle risposte che ti danno quando chiedi il telefono cellulare.

Eh sì, perchè ci sono quelli che alla domanda : "hai il telefonino?" ti dicono "no", ma si vede lontano un km che mentono, e lo sapete, tutte e due. Quelli che ti vogliono dare il numero di telefono e quelli che "no, il numero non te lo do"... ma chi lo vuole? che me ne faccio? Quelli che gli squilla in cabina, e quelli che rispondono pure! E c'è pure il registro di chi ti lascia il cellulare, che poi li devi rincorrere comunque, tutti così abituati a tenerlo sempre addosso che non ne concepiscono la separazione. E poi ci sono quelli riluttanti, che non sanno dire le bugie, ma vedi nel loro volto una sofferenza nel lasciartelo e, guarda un po', c'hanno tutti l'iphone, 5! E' un vero spasso chiederlo ai giovani, che figurati se non ce l'hanno, dai! Ma i migliori sono quelli che ti dicono che è spento... che senso ha? ripeto: non è che sei al cinema e non devi disturbare, è che magari lo accendi e fai la foto e ti vendi il voto, anche se, Saviano docet, la mafia poi vuole la prova tangibile, la scheda bianca.

A dirla tutta vedi un giro tanta approssimazione, un margine di errore umano molto alto, una logistica tutta da verificare, per cui il voto diventa qualcosa che ti devi conquistare, in cui ci devi mettere del tuo. Il mio sogno di suffragio universale è lontano... però il 76% della Lombardia di questi giorni non è mica male! Alla fine la maggior parte delle persone va via sorridendo, perchè votare ti fa sentire parte di qualcosa, perchè tu sei uno come sono uno tutti gli altri (e non mi date del grillino che il concetto di "una testa un voto" non l'hanno certo inventato loro). E quando i conti tornano e tutti si sigilla e si manda al Ministero, ti senti di aver partecipato davvero alla vita del Paese, della società... quasi quasi andrebbe fatto fare a tutti, altro che militare! Bisogna affondare le mani nelle schede per capire.

Le possibilità di sbagliare sono tante, è vero, la discrezionalità è enorme, ok, però, sai che c'è? Forse è proprio qui che sta il bello: il destino del Paese è nelle mani delle persone più semplici, normali, umili, che possono sbagliare, sì, perchè è la vita. Sarò banale ma prendiamo autobus guidati da persone come noi, viviamo a decine di metri dal suolo in case costruite da muratori, non da scienziati, che poi sbagliano pure loro. E alla fine quando apri le urne e conti i voti ti senti investito di una bella responsabilità e cerchi di essere giusto e corretto, e conti e riconti, l'amico e l'avversario, tutti uguali.

Io resto della mia idea: sogno un suffragio universale vero, un voto così sempliche che possano votare tutti e tutti possano far sentire la propria voce. Sogno un voto più sicuro e con un margine di errore molto più basso di quello attuale e penso che la tecnologia e la rete possano svolgere un ruolo importante in tutto ciò, ma ammetto che si perderebbe questo straordinario momento di partecipazione, e questo un po' sarebbe un peccato. (*)

(*) Scritto da Antonio Giordano.
 

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