20 gennaio 2012


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Piange il telefono. Piange al telefono.

Mia madre me lo urlava spesso: "Attacca quel telefono!"
Lei sapeva, lei aveva capito. 
Tutti parlano al telefono, tutti straparlano al telefono. Il telefono sembra essere diventato una sorta di nuovo confessionale, di macchina della verità, di strumento che svela effettivamente quello che siamo, come ci pensiamo, come ci poniamo con gli altri.
Per telefono abbiamo scoperto che Berlusconi aveva detto basta dopo la dodicesima, ma che avrebbe anche potuto continuare.
Per telefono la Minetti raccontava di quelle natiche troppo flaccide.
Per telefono la Merkel veniva ripresa per delle rotondità che poco piacciono agli uomini che si fermano alla dodicesima, ma che andrebbero anche avanti.
Per telefono era chiaro quanto il direttore della Rai riusciva ad abbassare il capo (e metaforicamente non sono quello) davanti ad un premier padrone.
Per telefono abbiamo scoperto chi rideva subito dopo il terremoto all'Aquila.
Per telefono abbiamo sentito quanto Lavitola si sentisse furbo e potente per i servizi che poteva fornire.
Per telefono siamo riusciti a capire le preoccupazioni della Santanchè (santa che?!) e di Briatore dinanzi a comportamenti poco edificanti di un anziano potente.
Per telefono abbiamo appreso che mentre naufragava la Concordia era buio e che per qualcuno questo rappresentava un problema per tornare al comando di una nave che colava a picco, mentre per un altro questo limite era superabile.
Per telefono, perché per telefono quanto ce piace de chiacchierà! Forse avevamo davvero creduto che una telefonata allunga la vita.
Invece mia madre aveva capito tutto e quando mi trovava attaccata alla cornetta urlava: "Attacca quel telefono!"

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