I ricordi e le sensazioni si ripescano anche attraverso vecchi appunti di viaggio.
New York, 27 maggio 2009.
Avevo attraversato il ponte di Brooklin e scesa dal ponte mi sono ritrovata tra i grattacieli della City Hall e da lì prendendo la Greenwich Strett al World Trade Center. Vuoto.
Un vuoto racchiuso da teloni che qualcuno cerca ora di riempire di altro. Così quel vuoto diventa cantiere in cui lavorano degli operai. Eppure sbirciando tra le fessure di quei teloni la sensazione è che le proporzioni non tornano. Lo spazio in cui erano stipate le torri gemelle, una accanto all'altra, è troppo piccolo se paragonato alla tragedia di quel crollo. E non sono solo i morti, ma per lo squarcio storico che si è aperto a Ground Zero.
Ho provato a immaginare le torri in mezzo agli altri grattacieli; mi sono rivista la scena degli schianti. Altro problema con le proporzioni, ma stavolta c'entra l'altezza. Tutti i grattacieli mi sembrano alti, ma nessuno a portata di volo di un aereo civile. Quanto erano alte le torri se quegli aerei non hanno avuto bisogno di fare scicane tra gli altri grattacieli? Giù dal basso, guardando quel cantiere sembra quasi impossibile anche se il tutto è avvenuto in diretta.
Il ricordo resta lì.
Oggi c'è un nuovo Presidente, c'è stata l'idea di un tempo migliore a cui tutti anche al di qua di quell'oceano vogliamo credere, nonostante gli altri morti caduti oltre lo spazio di quei grattacieli. Nessuna guerra è stata vinta. Nemmeno quella contro la stupidità, anzi. La stupidità accende i microfoni di chi tra le urla dei predicatori ha promesso fiamme per distruggere un libro sacro. Fiamme che non si sono alzate verso nessun cielo, ma che comunque hanno infiammato il tempo dei ricordi e del rispetto che ancora non riusciamo ad esprimere nel modo giusto verso nessuna vittima, al di là di ogni religione.
11 settembre 2010
Pubblicato daSerena Prinza Etichette:
11 settembre, new york, religione, torri gemelle
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