9 ottobre 2010


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No bel

In una dittatura i dissidenti vengono messi a tacere, ridicolizzati, resi innocui, lasciati soli o messi alla berlina. I modi per farlo saranno diversi, ma quello che più spesso capita avviene attraverso campagne mediatiche guidate dalla dittatura stessa o dagli amici e galoppini che lavorano in maniera diretta o indiretta per essa. I metodi usati saranno leciti o illeciti. E quando qualcuno farà notare i metodi dittatoriali, allora i portavoce ufficiali si affretteranno a definire le illazioni fatte contro, solo come delle “oscenità”. Ci penseranno, poi, i telegiornali a confezionare e a mostrare un paese felice e prospero. E quando non ci riusciranno si parlerà di altro, di gossip per esempio. Si creeranno nuovi vip e miti “terra terra” buoni per una stagione da dare in pasto al popolo.
I dissidenti saranno annientati e poi magari dimenticati. Dimenticati in Patria.
Eppure capita che a volte sia il mondo fuori a ricordarli. A lasciare che quei nomi vengano ancora pronunciati. Capita che sia il mondo fuori ad accendere i riflettori su certe anomalie. E a quel punto che le dittature gonfiano il petto e si mostrano per ciò che sono. Ciò che avviene, allora, è una maldestra censura mediatica, è il dichiarare sanzioni verso chi ha osato alzare il velo dalle cose, o delle cose.
A volte un premio Nobel per la pace serve.
In lizza si dice ci fossero Gianfranco Fini, Emma Marcegaglia e Liu Xiaobo.

Poi Porro, vicedirettore de “Il Giornale” ha fatto una telefonata ad Oslo: “Adesso ci divertiamo, per 20 giorni romperemo il c... come pochi al mondo...”

Ieri il premio per la Pace è stato assegnato a Liu Xiaobo, dissidente cinese. Il Nobel ha sfidato la Cina.

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